LA CURA DEL TALENTO E LA NECESSITÁ DI INDIVIDUALIZZARE L’ALLENAMENTO

Qualche giorno fa ho finito di leggere “The Talent Code”, un bellissimo libro del 2009 in lingua inglese di Daniel Coyle che avevo acquistato già da più di un anno, ma che, a causa del poco tempo a disposizione e della concomitante lettura anche di altri testi, ho sempre affrontato a “blocchi”.
Mi è piaciuto tantissimo e non posso che consigliarne la lettura.
E’ sommariamente un viaggio alla scoperta del “codice del talento”, cioè cosa rende una persona straordinaria in qualcosa, che sia essa un artista, uno sportivo, un bancario, un medico, un matematico, uno scienziato, etc.
Coyle spiega che il talento può essere accresciuto: la buona notizia è che la pratica mirata può rendere migliori.
Quindi pratica, pratica, pratica.
La cattiva notizia è la diretta conseguenza: bisogna farsi un culo quadro per migliorare, chiunque lo deve fare, anche i più talentuosi.
Nulla di apparentemente nuovo insomma.
Tuttavia, parte del libro è focalizzata su aspetti prettamente neuroscientifici relativi al funzionamento del nostro sistema nervoso e del ruolo cardine della mielina proprio all’interno del processo legato al talento e al suo accrescimento.
Questa parte lo rende diverso e piuttosto peculiare. Una visione fisiologica particolare.
Sapete: quando acquistai questo libro non sapevo esattamente perchè lo stessi facendo. Eppure lo feci.
Leggendolo, ho compreso che esiste una logica in quel “qualcosa” che ti porta verso un certo tipo di testo o un argomento (o anche verso una persona, a volte), pur non sapendo nulla di esso.
Vogliamo chiamarla empatia? Sensibilità? Afferenza?
LA FRASE INCRIMINATA
Questa frase di Coyle, ad un certo punto del libro, mi ha fatto capire perchè fossi lì a leggere:
“la vera abilità di un allenatore consiste non in una saggezza universalmente applicabile che può comunicare a tutti, ma piuttosto nella capacità di individuare il punto debole delle abilità di ogni singolo atleta (lui parla di “studente”), e inviare i giusti segnali per aiutare l’atleta stesso a raggiungere l’obiettivo giusto, più e più volte”.
Ecco perchè avevo comprato quel libro: quel qualcosa si era manifestato. Lo stesso concetto alla base del mio modo di lavorare. La base del mio metodo, ciò di cui ho ampiamente parlato anche all’interno del mio testo (che a breve, finalmente, andrà in stampa).
L’ECB (estensione delle caratteristiche di base) è proprio questo: la costruzione di un miglioramento in base alle proprie caratteristiche, alle proprie unicità, ai propri talenti.
DALLA FILOSOFIA ALLA PRATICA
Tanta filosofia, ok. Riportiamo tutto al concreto.
Facciamo un esempio semplice e pratico, relativo alla corsa:
se in un grafico illustrassimo una statistica di un gruppo di atleti….chessò, la soglia aerobica (ritmo maratona) di un campione di 100 sportivi simili, scopriremmo tantissime sfumature del tutto diverse. Una su tutte: l’accumulo di lattato ematico in soglia, per esempio.
Succederebbe allora che tracceremmo una media dei risultati che ci porterebbe e definire un modello, una regola. Una sorta di “linea di tendenza”:
“La soglia aerobica è situata grossomodo a 2,2 millimoli di lattato ematico”.
Consono, ma dozzinale, approssimativo.
E’ più o meno ciò che avviene anche nell’industria farmaceutica: i farmaci sono accettati sulla base degli effetti medi che presentano durante le varie prove a cui vengono sottoposti.
Sebbene sia spesso pratico e semplice, potete rendervi conto che una media è qualcosa che potenzialmente lascia al di fuori gran parte del “preso in causa”.
Pensate a quella trentina di atleti all’interno del gruppo con soglia sopra i 3 millimoli, alcuni magari a 4. E pensate agli altri trenta con soglia a 1,5 o 1,6. Per loro un allenamento a ritmo maratona a 2 millimoli non sarebbe forse un allenamento sbagliato? Allenerebbe forse qualcos’altro, ma non certo il ritmo maratona.
Forse sembrerà un pò estremo come esempio, ma non ci allontaniamo molto da ciò che accade realmente.
Gli atleti, nella gran parte dei casi, seguono modelli e schemi basati sulla norma, sulla media.
Pensate alle classiche “tabelle di allenamento”.
LA NECESSITÁ DI INDIVIDUALIZZARE
Ciò che manca, spesso, è la percezione della assoluta necessità di individualizzare.
Per massimizzare veramente l’allenamento, l’approccio dovrebbe essere basato sulle singole esigenze.
Ogni lavoro dovrebbe agire sulle caratteristiche uniche, le debolezze e le singole necessità di ogni atleta.
Ed è qui che torniamo alla frase di Coyle.
Concludo prendendo pari pari la fine di un post che ho fatto di recente sul blog di Project Ares sulla preparazione della mezza maratona (https://urly.it/3187m):
“È chiaro che, dall’altra parte della barricata, servono sportivi pronti ad usare il cervello e a lasciare la pigrizia altrove.
Tanto è sempre una questione di pigrizia.
Chi desidera tabelle generiche che “più o meno” possano fare al caso, è perché non ha voglia di comprendersi, studiare, documentarsi e pensare a come strutturare i propri miglioramenti.
Non c’è nulla di male in questo, per carità.
Ma è anche necessario capire che la stragrande maggioranza di prestazioni scadenti, infortuni e problematiche di vario tipo è dovuta proprio a questo tipo di approccio più statico ed indolente”.