LA CAPACITÁ CHE RENDE VINCENTI

In questi ultimi giorni, in corrispondenza del Challenge di Riccione 2021 (gara di triathlon medio piuttosto rinomata, organizzata dalla SGR Rimini – qui la classifica finale), forse perchè all’inizio di una stagione che sembra essere “normale” dopo una che non lo è stata affatto (quella del 2020), c’è stato un grande via vai di pensieri fra tecnici (e atleti) su tutto ciò che ruota attorno al mondo dell’endurance.

Il culmine (almeno per ciò che mi riguarda) l’ho toccato nella serata post-gara e nel giorno subito successivo. Tanti dati, tante domande e considerazioni.

Come al solito hanno vinto i più forti. Ma chi sono i più forti?

VO2max, soglie del lattato, potenza, frequenza cardiaca, economia, cosa determina veramente la vittoria? Quale dato si erge sopra agli altri?

Beh, tutti e…nessuno.

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THEY SAY JUMP, YOU SAY HOW HIGH

Ogni gara di endurance fa delle richieste specifiche agli atleti. Immaginatela come una bella donna. Per conquistarla è necessario sapersi adattare al meglio a ciò che richiede e, quando è il caso, sorprenderla.

Sono richieste nervose e metaboliche specifiche e vince chi le soddisfa nel miglior modo possibile.

Si tratta del rapporto fra prestazione e atleta. Un do ut des vecchio come il mondo.

Però vedete: se in una gara andiamo ad esaminare i grafici dei vari parametri principali, il vero vincente spesso non è tanto il più dotato, quanto più quello che, nella terza parte di gara, riesce a mantenere stabili questi parametri.

Si chiama endurance, resistenza, quindi è inutile farsi tanti viaggi. Vince chi resiste meglio.

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LA LEADERSHIP É DONNA (COME SEMPRE)

Partiamo da un concetto. La mente è importante e con una mente affilata si arriva di certo lontano. Ma anche col miglior pilota al mondo, avete mai visto una Panda vincere una gara di Formula Uno?

Dai…abbiamo limiti genetici evidenti, negarlo sarebbe da stupidi. Si tratta di confini metabolici che ci inseguono e da cui non si sfugge neanche col vespino.

Siccome so che l’uomo vuole concetti generali con cui confrontarsi sparo subito una bella nozione:

Il corpo umano non può richiedere calorie oltre la soglia di due volte e mezzo il suo dispendio metabolico a riposo (cioè il dispendio energetico necessario a sostenere le funzioni vitali di base).

Vai oltre? Il tuo corpo si autoconsumerà. Cioè comincerà a consumare i suoi stessi tessuti.

Perchè? É di certo una questione legata alle scorte energetiche e all’assorbimento intestinale dei nutrienti. La cosa interessante da notare è che non serve andare a scrutare fra gli atleti delle gare più dure del mondo per capire questa legge…(o per lo meno, adesso sappiamo che non è necessario), basta osservare il genere femminile.

Ancora una volta sono le donne ad insegnare all’umanità le leggi universali della vita.

Il tetto massimo di energia spendibile riscontrato nei migliori atleti di resistenza è appena superiore ai ritmi metabolici sostenuti dalle donne durante la gravidanza (vedi riferimenti scientifici in fondo al post).

Il prossimo che osa dubitare dei carichi che sopportano le nostre compagne durante quei famigerati nove mesi sarà sottoposto a pubblica gogna. Si tratta di un limite fisiologico selezionato nel corso dell’evoluzione.

Quindi parliamoci chiaro: lo sforzo fisico ha dei paletti grandi come la Shangai Tower.

É inutile sentirsi l’incredibile Hulk. Alcuni atleti che si impegnano in sforzi ultra-estremi riescono ad arrivare a 5 volte il consumo energetico rispetto al proprio metabolismo basale, ma dopo 10 giorni in gara più che l’incredibile Hulk sembrano il nonno allettato.

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LA GENETICA CI INSEGNA

Detto questo, chi ha un background genetico superiore gode di una grossa facility, è indubbio. Per esempio, è stato notato che gli ultracentenari tendono ad avere un organismo veramente più efficiente nella riparazione del DNA cellulare.

Eh sì. Studiare queste persone ci aiuta a capire cosa porta il nostro corpo ad essere SUPER.

Analisi bioinformatiche dimostrano che, nel cuore, nei polmoni, nel sistema nervoso e nella tiroide esiste un particolare gene – noto come STK17A – che garantisce la salute del nostro impianto cellulare, ed è coinvolto nella direzione della risposta al danno del DNA.

In pratica indirizza ed inchioda le specie ROS, i radicali liberi. Una sorta di pastore di radicali.

Ecco, chi ha quantità decenti di questo gene, oltre a vivere più a lungo, è di certo avvantaggiato nell’endurance come nella vita, poichè può contare su una predisposizione naturale allo “spegnimento di incendi cellulari”, passatemi questa metafora.

Ma c’è altro. Abbiamo già parlato in uno scorso post dell’importanza dei mitocondri.

Questi organelli sono i principali responsabili del corretto metabolismo energetico delle cellule (leggete il post se non lo avete ancora fatto) e una disfunzione della loro omeostasi rimane un fattore chiave, sia nella gestione della resistenza, sia, su tempistiche medio/lunghe, nella “questione salute ed invecchiamento”.

Da questo punto di vista, le variazioni genetiche individuate dalla letteratura scientifica in campo mitocondriale sono legate anche all’attività del gene COA1, noto per il suo importante ruolo nel garantire il collegamento tra il nucleo cellulare e i mitocondri stessi.

Quindi, come è possibile notare da tutto ciò che è stato sino ad ora enunciato, abbiamo sia paletti di specie, sia, all’interno di questi, altri paletti genetici soggettivi.

A questo punto possiamo tornare a monte.

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LA CAPACITÁ CHE RENDE VINCENTI

Fatta questa dovuta premessa, che dal generale è arrivata al singolo, torniamo alle prestazioni in gara.

Con alcuni colleghi, come ho specificato all’inizio, ho potuto disquisire della fiducia indirizzata ai vari parametri che inquadrano l’atleta….D’altronde bisognerà in qualche modo leggerla questa soggettività.

Potenza, frequenza cardiaca, passo, consumo di ossigeno: c’è chi si fida più di uno, chi più dell’altro, per motivi senz’altro validi.

Per ciò che mi riguarda sono tutte ottime chiavi di lettura, ottime “funzioni di”, ma bisogna vedere su cosa viene fatta questa lettura. La comprensione del corpo umano non è cosa semplice e ritengo sia necessario allontanarsi, recarsi su un pianeta differente, per guardare tutto da più lontano, prima di lanciarsi in qualsiasi tipo di interpretazione.

Ecco perchè ho voluto precedere questi discorsi con varie premesse.

La resistenza alla fatica, in rapporto al TIPO di fatica che viene richiesta, è ciò che credo possa meglio inquadrare l’atleta vincente.

Dopo tutta questa scienza la voglio scrivere con più “ignorantezza” (termine tipico romagnolo), perchè è facile fare poesia, meno tradurre i concetti per renderli fruibili a chiunque.

Perdonate se sono diretto e al limite della faciloneria:

La maratona è un diecimila dopo 32 km.

La mezza maratona è un cinquemila dopo 16 km.

Un diecimila è un tremila dopo 7 km.

Un cinquemila è un milleecinque dopo 3,5 km.

Questo significa che si possono guardare tutti i parametri di questo mondo, utilissimi per carità: ma è la capacità di mantenerli il più possibile inalterati quando le abilità nervose e metaboliche sono alla frutta, che differenziano un atleta forte e vincente da chiunque altro.

Pensate a Kipchoge all’arrivo di Vienna. Sorrideva. Ecco cosa lo ha condotto nella storia. Non un VO2max da super-man o un parametro in particolare. Ma il mantenimento di una capacità di prestazione complessiva, senza dubbio, “da elite fra gli elite“.

Pensate a Pantani al Tour. A Michael Jordan negli ultimi minuti della finale con gli Utah Jazz.

É ciò che sei da stanco che sottolinea chi sei.

Ed ecco perchè nella corsa, nel triathlon e nell’endurance tutta servono anni prima di raggiungere i propri best reali, i propri limiti: il rapporto con la fatica si costruisce in tanti confronti, dopo tante, tantissime sconfitte……all’interno di quella sfumata nuvola di esaurimento, dove l’usura e la stanchezza, col tempo, riescono a trasformarsi in qualcosa di più gestibile.

E la smorfia di dolore muta in un sorriso.

A presto signori.

D.

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Riferimenti scientifici:

  1. Thurber, Caitlin & Dugas, Lara & Ocobock, Cara & Carlson, Bryce & Speakman, John & Pontzer, Herman. (2019). Extreme events reveal an alimentary limit on sustained maximal human energy expenditure. Science advances. 5. eaaw0341. 10.1126/sciadv.aaw0341.
  2. Cooper JA, Nguyen DD, Ruby BC, Schoeller DA. Maximal sustained levels of energy expenditure in humans during exerciseMed Sci Sports Exerc. 2011;43(12):2359-2367. doi:10.1249/MSS.0b013e31822430ed
  3. Pregnancy pushes the body nearly as much as extreme endurance sports – Quartz – https://qz.com/1635811/pregnancy-pushes-the-body-nearly-as-much-as-endurance-sports/
  4. Garagnani P, Marquis J, Delledonne M, et al. Whole-genome sequencing analysis of semi-supercentenariansElife. 2021;10:e57849. Published 2021 May 4. doi:10.7554/eLife.57849
  5. Leo P, Spragg J, Mujika I, et al. Power Profiling, Workload Characteristics, and Race Performance of U23 and Professional Cyclists During the Multistage Race Tour of the Alps [published online ahead of print, 2021 Mar 31]. Int J Sports Physiol Perform. 2021;1-7. doi:10.1123/ijspp.2020-0381

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