CLAMOROSO: MONITORANDO LA GLICEMIA POTRESTI COMPRENDERE I TUOI CARICHI DI ALLENAMENTO IDEALI

Mitocondrio – immagine di Deviant art – Pinterest

“L’esercizio fisico è una strategia straordinariamente efficace per prevenire le malattie metaboliche e migliorare il benessere generale”. Questa affermazione è ormai famosa come la filastrocca delle tre civette sul comò.

La si può leggere un pò ovunque nei libri, sui siti di salute e in quelli sportivi.

É una affermazione vera? Generalmente si. Ma da oggi direi NON IN ASSOLUTO.

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LA MIA ESPERIENZA

Dovete sapere che ho sempre nutrito forti dubbi sui meccanismi della regolazione della glicemia negli atleti di resistenza e questi dubbi sono sempre stati alimentati da alcune controverse situazioni che mi sono accadute sul campo.

Quando mi allenavo in maniera intensa e costante (circa un’era fa) vivevo dei periodi particolari che chiamerei di “disagio glucidico”, con una glicemia tendenzialmente alta e conseguenti problemi di salute e di gestione alimentare.

Mi sembrava impossibile. Ma come…mi spacco di allenamento e riesco ad avere uno stato, in pratica…pre-diabetico?

Così, siccome non sono un biologo, ma lo studio e la scienza accompagnano ogni mia giornata da quando avevo 9 anni, ho cercato di monitorare questa faccenda con la logica, l’impegno e la tigna che mi sale quando non riesco ad arrivare in fondo a qualcosa (la tigna in romagnolo è un sinonimo della cazzimma napoletana).

In qualche mese intuii grossolanamente cosa ci poteva essere dietro, anche se non ebbi mai conferme ufficiali (almeno sino ad oggi), anche parlando con amici nutrizionisti.

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OVERREACHING, DOTTOR WATSON, OVERREACHING

Notai che questa risposta si accompagnava a stati di overreaching piuttosto marcati, sottolineati da microcicli (settimane) di allenamento molto intensi.

In quei periodi riuscivo ad abbassare i miei livelli glicemici e stare meglio solo correndo per chilometri e chilometri a bassa intensità senza ingerire nulla dalla sera prima. Allora in poco tempo riportavo tutto ad una situazione più normale e gestibile.

Vi dirò, magari ero in forma e viaggiavo su passi di tutto rispetto, ma non stavo bene: fu da lì che decisi che la mia attività doveva essere gestita diversamente, con meno patemi competitivi e una dedizione più diretta verso la mia salute e più orientata verso gli atleti che seguivo.

Ero ancora giovane, ma quella fu una scelta che, in fine, si rivelò vincente, perchè con una sola mossa riuscii ad accompagnare la mia condizione e due diverse facce di me stesso: la mia attitudine verso gli altri e la predisposizione ad allenare (chi mi conosce sa che sono due affermazioni vere e assolutamente razionali).

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ALTERATA TOLLERANZA AL GLUCOSIO

In seguito, questa esperienza mi servii eccome: riconobbi questa situazione di alterata tolleranza al glucosio in diversi atleti e, anche se non conoscevo le esatte motivazioni biochimiche (nella letteratura scientifica era scritto esattamente il contrario!), sapevo come comportarmi.

Questa IGT (acronimo di Impaired Glucose Tolerance), infatti, compare spesso PRIMA del subentro del VERO overreaching funzionale, quando ancora l’atleta è in uno stato di forma piuttosto evidente.

Ebbene, in questa mattinata di marzo 2021, aprendo il mio account di Science Direct, mi è finalmente arrivata la possibile spiegazione biochimica a ciò che pensavo: una risposta che cercavo da anni.

Si è concretizzata in uno studio eseguito da una equipe guidata da Mikael Flockhart, un atleta svedese di MTB di livello nazionale e fisiologo alla Swedish School of Sport and Health Sciences di Stoccolma.

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LA COLPA É DEI MITOCONDRI

Estratto grafico 1 tratto dallo studio in calce – vedi riferimenti scientifici in fondo al post

La colpa è nascosta nella risposta mitocondriale.

Pensa te. Gli esserini la cui capacità è strettamente correlata al massimo assorbimento di ossigeno da parte di tutto il corpo: gli stessi microrganismi che ci fanno andare forte possono anche metterci i bastoni fra le ruote.

Questo studio (vedi note in fondo al post) ha preso in considerazione un modello di allenamento con un carico di esercizio di intervalli ad alta intensità (HIIT), progressivamente crescente, durante un intervento di 4 settimane. La quarta settimana il carico di esercizio è stato ridotto per consentire il recupero.

Quindi stiamo parlando di un classico delle programmazioni di ogni atleta, dal più al meno talentuoso: il 3+1.

Sono stati seguiti da vicino i cambiamenti nella tolleranza al glucosio, nella funzione e nelle dinamiche mitocondriali, nella capacità di esercizio e nel metabolismo di tutto il corpo.

Dopo la settimana con il carico di esercizio più elevato, è stato riscontrato una notevole riduzione della funzione mitocondriale intrinseca che ha coinciso con un disturbo nella tolleranza al glucosio e nella escrezione dell’insulina.

BINGO.

E adesso viene il bello: l’equipe, a quel punto, ha anche valutato i profili glicemici di alcuni atleti di resistenza di livello mondiale e ha scoperto che avevano un controllo del glucosio decisamente alterato rispetto ad un comune gruppo di persone normali.

Il che potrebbe parere normale…ma non come lo si crede.

Continuate a leggere.

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CHIARIAMO ALCUNI CONCETTI

Torniamo alla affermazione che ha aperto questo post, solo un filo più approfondita e dettagliata:

L’allenamento è un potente strumento per stimolare la biogenesi mitocondriale e può agire come trattamento preventivo contro molti disturbi metabolici, stimolando l’assorbimento del glucosio.

Pedersen e Saltin, 2015

ALT. Però allenarsi alla morte non ha quasi mai esiti metabolici positivi sulla salute. Questo lo sa anche mia nonna.

I benefici dell’allenamento sembrano seguire una relazione curvilinea (a forma di J invertita) in cui a quantità elevate o estreme di carico in cronico sono associati effetti negativi che includono aumento della calcificazione delle arterie coronariche , fibrosi miocardica e varie aritmie.

…Quindi antenne dritte amici!

La sfiga in tutto questo è che nessuno ha la palla di cristallo e quella agognata soglia tra quantità ottimale ed eccessiva di esercizio non è esattamente qualificabile e quantificabile per nessuno. Neanche per il miglior allenatore o scienziato al mondo.

Anzi, a volte è meglio un coglione molto sensibile (nell’accezione positiva del termine), chiunque esso sia, piuttosto che un luminare super-mega-pro, che vede tutto solo sotto la luce accecante della scienza oppure della ottusa pratica da campo.

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LE GUGLIELME

Siccome credo che anche la comprensione di un articolo come questo richieda un attimo di pausa, possibilmente divertente, apro una breve parentesi.

Giusto per capirci meglio e fare un sorriso.

Quello che adesso viene chiamato HIIT è più o meno ciò che da sempre si fa nello sviluppo del fondo e mezzofondo dell’atletica leggera e che ogni runner sulla terra ha imparato a fare e rifare per migliorare: RIPETUTE.

Poi chiamatele variazioni, intervalli, o con nomi di donna……Un mio amico le chiamava Guglielme: “Oggi ho una serie di Guglielme che te le raccomando”.

Guglielma era una tipa che, da ragazzo, lo avevo fatto impazzire. E da lì il nome.

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VENIAMO ALLO STUDIO NEL DETTAGLIO

Estratto grafico 2 tratto dallo studio in calce – vedi riferimenti scientifici in fondo al post

In questo studio di Flockhart hanno fatto fare sessioni di Guglielme (su cicloergometro: riscaldamento standardizzato di 10 min a 100 W a 70 rpm, seguito da cinque intervalli di 4 min a ~ 95% del VO max con 3 min di riposo) in maniera progressivamente crescente in termini di carico, fino ad arrivare a 14 sessioni totali nelle 4 settimane.

I risultati parlano chiaro: fino ad un certo punto si sono osservati adattamenti a livello generale e prestazione migliorata, in linea con il concetto di supercompensazione (Issurin, 2010).

Tradotto: l’allenamento progressivamente più duro seguito da una settimana di carichi ridotti porta cambiamenti fisiologici positivi in termini di forma.

Fino ad un certo punto però……ed ecco il qui pro quo:

il contenuto mitocondriale e l’attività enzimatica sono aumentati gradualmente come previsto (migliore fitness) durante le 3 settimane di carico MA sono stati definiti in netto contrasto con la diminuzione osservata nell’IMR (respirazione mitocondriale intrinseca ovvero la capacità respiratoria correlata alle attività delle proteine mitocondriali) dopo la fase di allenamento eccessivo.

In poche parole, oltre un certo limite, iniziano a manifestarsi effetti negativi sulla salute metabolica e sull’adattamento delle prestazioni fisiche, apparentemente causati da un arresto parziale a livello mitocondriale.

Questo stato di compromissione mitocondriale è ciò che influenza l’intolleranza al glucosio e una risposta insulinica piuttosto atipica.

Sino ad oggi solo uno studio ha valutato i profili glicemici negli atleti (Thomas et al., 2016). In questo studio si era scoperto che circa il 40% dei soggetti trascorreva una notevole quantità di tempo nel range dell’iperglicemia.

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L’APPROFONDIMENTO NEGLI ÉLITE

Questi risultati hanno portato l’equipe a valutare un gruppo di atleti di resistenza élite. E ciò che è emerso è, permettetemi, straordinario.

Questi atleti hanno un controllo del glucosio assolutamente “disturbato” rispetto ai comuni mortali, in linea con l’ipotesi che un esercizio sopra certi limiti possa seriamente causare intolleranza al glucosio.

Questa scoperta è sorprendente, visto che si è sempre presunto che gli atleti con un’elevata capacità ossidativa abbiano una altrettanto elevata sensibilità all’insulina e, durante l’invecchiamento, mostrino un minore declino della salute metabolica rispetto al normale (Borghouts e Keizer, 2000).

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CONCLUDENDO

A questo punto è LAMPANTE che l’attenzione verso i carichi di allenamento sia da mettere in primo piano rispetto a TANTO ALTRO.

Per esempio, negli atleti presi in esame 90 minuti di ripetute a settimana sono stati ben tollerati, mentre 150 minuti a settimana (a cui gradatamente sono arrivati) sono stati associati a disadattamenti.

Questo range è naturalmente da adattare in base allo stato di ognuno e rappresenta la messa in pratica del famoso detto “il troppo stroppia”.

Ma ciò che di GRANDIOSO veramente emerge da tutto questo è che attraverso un monitoraggio dell’omeostasi del glucosio (la glicemia!) è possibile avere uno strumento (minimamente invasivo) e un nuovo approccio per ottimizzare la quantità di esercizio e massimizzarne i benefici.

Una nuova grande freccia all’arco di allenatori ed atleti e la conferma che, spesso, le intuizioni possono portare a verità non subito logiche e dirette…..ma non meno importanti e degne di credibilità.

Alla prossima,

D.

Ps: un amico e collega tecnico, Andrea Zolea, dopo aver letto l’articolo mi ha contattato e mi ha fatto notare un particolare nell’estratto grafico 2 a cui non avevo posto adeguata attenzione. Si tratta dell’HF a 100Watt, cioè del comportamento della frequenza cardiaca a quel range di potenza nelle varie fasi dell’allenamento (BL – A riposo, LT – Allenamento leggero, MT Allenamento moderato, ET Allenamento eccessivo, RE – Settimana di scarico). Si tratta indirettamente anche di un indice dell’attività parasimpatica, che ha una stretta correlazione con l’HRV, cioè l’Heart Rate Variability (variabilità della frequenza cardiaca – vedi app HRV4training e simili). Questo sottolinea che possa essere probabile che, quando la nostra media HRV si avvicina alla parte bassa della deviazione standard, anche la nostra tolleranza al glucosio possa cominciare a peggiorare. Una evenienza senz’altro da testare!

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Riferimenti scientifici di questo post:

Flockhart M. et al. “Excessive exercise training causes mitochondrial functional impairment and decreases glucose tolerance in healthy volunteers” – Cell Metabolism,
March 2021 – ISSN 1550-4131, https://doi.org/10.1016/j.cmet.2021.02.017
(https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1550413121001029)

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