COVID 19 – PERCHÉ INSEGUIRE UNA FINE NON PORTERÁ ALCUN BENEFICIO: CE LO INSEGNA L’ENDURANCE

Incollati costantemente allo schermo in attesa di notizie incoraggianti: quello della TV, del computer, dei cellulari, dei vari pad.
Il verbo più diffuso è “sperare”.
“Speriamo che coi vaccini tutto si sistemi”.
“Speriamo che si possa tornare presto allo stadio”.
“Speriamo che i ragazzi possano tornare a scuola come prima”.
“Speriamo che le competizioni di qualsiasi sport possano riprendere come ce lo ricordavamo”.
“Speriamo”.
Speriamo un accidenti.
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UNA GARA SENZA UN TRAGUARDO DELINEATO
Qui c’è veramente poco da sperare. Come ormai è chiaro, non è una gara con una fine delineata.
Speranza
fiduciosa attesa di un bene che quanto più desiderato tanto più colora l’aspettativa di timore o paura per la sua mancata realizzazione
Treccani – Vocabolario della lingua italiana
Credo non si tratti di sperare bensì di accettare la situazione esattamente per come è. Solo in questo modo ci si imbatte nel presente, che è l’unica realtà in cui possiamo pensare di agire in questo momento.
Siete naturalmente liberi di mandarmi in paesi esotici con un biglietto di sola andata poichè io stesso mi ci manderei. Vorrei solo spiegare cosa mi porta ad essere così pragmatico, quindi chiedo un minimo di pazienza.
Farò alcuni esempi che si allontaneranno dalla mia affermazione, ma mi serviranno per tornare ad essa in fondo al post.
Probabilmente, dopo aver compreso ciò che illustro, mi concederete quanto meno una andata…e ritorno…da quel paese.
Chiamo a deporre un testimone che penso di conoscere abbastanza bene, sicuramente meglio di tanti altri (argomenti): l’endurance.
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RESISTERE NON É FACILE
Nel mio libro scrivo:
"La resistenza è una lunga convivenza con un disagio. In fondo si tratta di trovare la via migliore per coabitare con quel disagio col massimo risultato. E quando si parla di disagio ognuno ha una risposta propria, una interpretazione del tutto personale, condizionata dal carattere e dalle esperienze. Ce lo insegnano sociologia, psicologia e filosofia. Non dimentichiamolo mai". tratto da RUN CORSA E PERFORMANCE - LIBRO 1
In una gara sappiamo esattamente dove si trova il traguardo. Ogni energia è rivolta ad oltrepassare quella fatidica linea. Gli ultimi metri, sospinti dal pensiero dell’imminente arrivo, saremo anche in grado di andare oltre un certo grado di sopportazione della fatica. Meraviglie del cervello: sblocchi emotivi, concessione di sistemi profondi.
Poi stanchezza, gioia ed appagamento.
In RUN c’è un intero capitolo dedicato alla fatica mentale e a tutto ciò che le gira attorno. Sono da sempre affascinato da questa sottile porzione di studi che calcano i confini fra fisiologia e psicologia. Continuo ad indagare, testare e documentarmi in questo ambito i cui termini risultano essere veramente frastagliati ed applicabili a tante situazioni della vita, non solo allo sport.
Chiariamo: avere un obiettivo da raggiungere ci fornisce il controllo necessario su ciò che facciamo e la relativa sicurezza emotiva.
C’è un esperimento che riguarda proprio la corsa (di semplicità e bellezza imbarazzanti) che, a volerlo leggere bene, ci illustra in dettaglio ciò che sta avvenendo in questo momento nella nostra società (vedi 1).
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L’ESPERIMENTO DI BADEN
Sedici runner maschi e femmine ben addestrati completano TRE sessioni di corsa su tapis roulant SEMPRE al 75% della loro velocità massima di corsa.
- Nella prima sessione gli viene detto di correre per 20 minuti e dopo 20 minuti esatti l’esercizio viene stoppato.
- Nella seconda sessione gli viene detto di correre per 10 minuti, ma dopo 10 minuti gli viene comunicato di continuare per altri 10.
- Nella terza non gli viene comunicato per quanto tempo avrebbero dovuto correre e dopo 20 minuti, comunque, gli viene detto di fermarsi.
Durante ciascuna sessione vengono misurati:
- RPE (percezione dello sforzo)
- consumo di ossigeno (ml / kg / min)
- frequenza cardiaca (battiti / min)
- frequenza di falcata
- Percezione emotiva (misurata attraverso una scala di influenza soggettiva)
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I RISULTATI
- la percezione dello sforzo nella seconda prova è aumentata in maniera evidente esattamente tra il decimo e l’undicesimo minuto rispetto alle altre due prove, pur a parità di sforzo fisiologico.
- Il punteggio della scala emotiva, allo stesso modo, è diminuito significativamente proprio nello stesso momento. Tradotto: è preso male.
- L’economia di corsa, misurata dal consumo di ossigeno, è stata significativamente inferiore nella terza prova rispetto alle altre due. E nella prima (quella da 20 minuti secchi) ha subito una notevole diminuzione durante l’ultimo minuto di esercizio (il diciannovesimo).
Come se la fine presupponesse uno sblocco gestionale. Una roba tipo “chissenefrega, daje”.
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PERCEZIONE DELLO SFORZO ED EMOTIVITÁ
L’aumento della percezione dello sforzo conseguente a informazioni errate sulla durata prevista dell’esercizio non è stato quindi causato da cambiamenti di fattori fisiologici. C’erano altri processi in atto, rispondenti all’improvvisa imposizione di una mancata corrispondenza tra la durata dell’esercizio precedentemente prevista e la nuova richiesta.
La risposta è nella percezione emotiva delle sensazioni cognitive indotte dall’esercizio fisico. Questo indica che la percezione dello sforzo è strettamente collegata alla componente emotiva (interessante da sapere, non trovate?).
Al di là di questo affascinante aspetto è necessario esaminare cosa è successo nelle stesse persone durante la prova in cui non conoscevano il traguardo. Risultati, fra l’altro, confermati in tanti altri studi sui generis.
Chi “corre e basta”, a parità di intensità, mostra un dispendio di ossigeno minore, che alla lunga si manifesta attraverso una frequenza cardiaca più bassa ma soprattutto una percezione dello sforzo inferiore (2) (3).
Non solo. C’è uno studio di qualche anno fa (2017) di un neuroscienziato e psicologo dello sport, Rémi Radel (4), che mostra come in circostanze simili anche l’attività cerebrale si sposti dalle regioni delle funzioni esecutive, che esigono una più alta richiesta energetica, alla rete associata ai sogni ad occhi aperti.
Tutt’altra roba: in altre parole, non si tratta (nuovamente) solo di un passaggio fisiologico ma proprio di un set generale che riguarda corpo e mente.
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QUELLA FATIDICA ULTIMA CURVA
Se un pensiero tipo “vabbè, tutto abbastanza previdibile” vi ha anche solo sfiorati ad un certo punto, non temete: tutto normale.
Non è vero.
Di prevedibile in tutto questo c’è solo una cosa: che chiunque è emotivamente ingaggiato quando gira l’ultima curva e vede il traguardo.
Guardate qua:
Jim Walmsley, l’atleta che vedete nel video, ha fallito il record sui 100km per 11 secondi. Eppure in quegli ultimi fatidici metri, pure in maniera scomposta, dopo più di 6 ore di corsa, ha cercato lo sprint.
E c’era pure qualcuno che gli urlava “Swing your arms, GO, GO!!!”, completamente ignaro che se le braccia le avesse oscillate troppo probabilmente gli sarebbero volate via, distrutto com’era.
Provate a dare un’occhiata ai record mondiali delle discipline di resistenza dell’atletica dal 1900 ad oggi. L’ultimo chilometro è praticamente sempre o il più veloce o, al massimo, il secondo più veloce in assoluto. Ci sono studi in proposito (5).
In poche parole il raggiungimento di un certo limite è sempre associato alla vicinanza di un traguardo. Mentre (e qui torniamo al titolo del primo paragrafo e a ciò che affermavo) questa pandemia è una gara senza un traguardo delineato: ed è l’esperienza quotidiana che ce lo sta insegnando. Occorre una gestione psico-fisica del tutto differente, pena l’esaurimento.
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LA DISCREPANZA FRA ASPETTATIVA E REALTÁ
In questa bufera farsi la domanda “Posso andare avanti?” piuttosto che “Posso arrivare alla fine?” è molto più sensato.
Fissare una fine mentale, come abbiamo visto, può avere risvolti emotivi indigesti e portarci ad un lento ed inesorabile sfinimento.
Pensate a quei corridori a cui in quello studio hanno detto di continuare dopo i primi 10 minuti…non è forse ciò che politici, giornalisti, medici, virologi, multinazionali, organizzazioni mondiali (colpevoli o no, non è questo il punto) stanno facendo con noi OGNI SINGOLO GIORNO DA TEMPO?
Eccoci al dunque, quindi.
Dobbiamo sostituire la paura legata alla mancanza di controllo con pensieri più razionali e funzionali al presente che viviamo.
L’intera vita, in fondo, non è forse una lunga corsa in cui agiamo in modo teleoanticipatorio (vedi significato – 6)?
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CONCLUDENDO
Accettare ciò che razionalmente è al di fuori del nostro controllo ci permette di riappropriarci della situazione, del nostro presente, cavalcandolo.
Provate a pensare alla motivazione stessa per la quale siamo portati a tentare di ottenere controllo, di spiegare ogni cosa.
Porre un termine ad un argomento, delinearlo all’interno di barriere comprensibili lo semplifica, lo scongiura, non gli permette di impensierirci.
É ciò che ho fatto io ora: spiegare un processo complesso giustificandolo con esempi comprensibili, per fornire soluzioni. Ecco il dunque. Riuscire a “mantenere le cose sotto controllo” è uno dei tanti limiti umani ed insieme una delle cose più naturali che contraddistingue il nostro genere.
Cancelliamo il traguardo allora, poichè probabilmente è proprio accettando di perderlo di vista…….che lo si riacquista.
Semplicemente, ad un certo punto, ci accorgeremo che potremo rallentare e poi, forse, smettere di correre.
Ma saremo diversi, molto diversi da prima.
Lo siamo già.
D.
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Riferimenti scientifici:
- Baden DA, McLean TL, Tucker R, Noakes TD, St Clair Gibson A. Effect of anticipation during unknown or unexpected exercise duration on rating of perceived exertion, affect, and physiological function. Br J Sports Med. 2005;39(10):742-746. doi:10.1136/bjsm.2004.016980
- Eston R, Stansfield R, Westoby P, Parfitt G. Effect of deception and expected exercise duration on psychological and physiological variables during treadmill running and cycling. Psychophysiology. 2012;49(4):462-469. doi:10.1111/j.1469-8986.2011.01330.x
- Coquart JB, Garcin M. Knowledge of the endpoint: effect on perceptual values. Int J Sports Med. 2008;29(12):976-979. doi:10.1055/s-2008-1038741
- Radel R, Brisswalter J, Perrey S. Saving mental effort to maintain physical effort: a shift of activity within the prefrontal cortex in anticipation of prolonged exercise. Cogn Affect Behav Neurosci. 2017;17(2):305-314. doi:10.3758/s13415-016-0480-x
- Tucker R, Lambert MI, Noakes TD. An analysis of pacing strategies during men’s world-record performances in track athletics. Int J Sports Physiol Perform. 2006;1(3):233-245. doi:10.1123/ijspp.1.3.233
- La Teleoanticipazione è l’anticipazione della fine di un compito che permette una gestione più efficiente e una spesa più economica a livello energetico.