TENSIONE MUSCOLARE: QUELLA STRANA SENSAZIONE

Cos’è la tensione muscolare? Disagio? Fastidio? Mancanza di mobilità? A volte nessuna di queste cose. Eppure può essere lì ad indicare qualcosa che non va.

Innanzitutto, se non è ancora chiaro, tengo a precisare che non mi sto riferendo alla tensione muscolare “positiva” pre-gara, bensì alla condizione patologica che spesso accompagna lo sportivo (runner e triatleta in primis, in questo caso). Da sportivo, infatti, come tanti altri, posso dire di avere una storia di tensioni muscolari lunga come un vangelo. Ciò che può essere utile fare per un atleta è cercare di comprendere cosa si nasconde dietro a questi stati “ambigui” e come combatterli fattivamente. Ciò che segue è un breve e semplice riassunto di ciò che, ad oggi, mi è possibile dire in merito, evitando di addentrarmi troppo in spiegazioni complicate, che lascio alla mercè degli amici fisioterapisti😉.

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AL VERTICE DELLA TENSIONE

“Sento una specie di tensione al polpaccio…..se lo tocco non ho dolore, la zona è morbida, se comincio a correre la sensazione sparisce, ma appena mi siedo al lavoro mi torna”.

Quante volte ho sentito discorsi simili! L’unica cosa che si modifica è solo il soggetto: a volte è il polpaccio, altre la schiena, altre ancora la coscia, et etc. Zone fisiche differenti ed una una variegata miriade di indizi sensoriali riconducibili ad una situazione comune.

So bene cosa significa avere queste percezioni. Per quanto mi riguarda, per esempio, è da tempi immemori che una tensione al quadrato dei lombi (a sinistra) mi fa dannare. Ho provato ad affrontarla in tutte le maniere possibili…Ogni tanto se ne va, poi, come se n’è andata, ritorna.

Ormai è talmente tanto che ci ho a che fare che, quando non c’è, un pò mi manca. É diventata una specie di vecchia amica. E per fortuna, se no avrei già dato di matto.

Per esempio: nel momento in cui sto scrivendo questo post ho davanti alcuni appunti legati alla parte della mobilità che andrà nel secondo libro del mio progetto RUN – Corsa e Performance e proprio in questo momento “lei” è lì, a ricordarmi che forse è un pò troppo che sono seduto. Così mi ritrovo a sistemare due mobilità, quella scritta e la mia, quella reale.

La domanda è semplice: COSA PROVOCA QUESTE SENSAZIONI?

Ecco, focalizziamoci sui termini. Spesso il modo in cui ci esprimiamo spiega molto meglio ciò che realmente siamo. Si tratta innanzitutto di sensazioni che, nella pratica, spesso non hanno nulla a che fare con qualcosa di meccanico, cioè con un impedimento fisico vero e tangibile.

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TENSIONE vs DOLORE

Innanzitutto chiariamo: la tensione non è dolore. Il dolore è un’altra cosa. Sappiamo bene quando proviamo dolore. La tensione assomiglia più ad un fastidio, un disagio, una oppressione.

Quindi non stiamo parlando di una reale minaccia, quanto più di una sorta di stress metabolico che attiva a livello chimico i nostri nocicettori, cioè quelle terminazioni nervose che hanno il compito di segnalare un potenziale pericolo a livello tissutale.

É possibile che il problema allora non sia l’esistenza di uno stato tensivo, ma un qualche tipo di mancanza metabolica, passatemi il termine, tipo uno scarso afflusso sanguigno, magari a livello nervoso.

In effetti i nostri nervi hanno un grande bisogno di ossigeno e nutrimento.

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NERVOUS BREAKDOWN

Il nostro sistema nervoso è in grado di consumare fino a più del 20% dell’intero apporto di ossigeno del corpo. I nervi hanno bisogno di un continuo rifornimento di sangue e ossigeno.

Se l’afflusso di sangue ai nervi è compromesso da un qualche tipo di postura o da un particolare movimento, il nostro sistema nervoso centrale si accende come una spia: non lo fa in maniera turbolenta, semplicemente ci fa notare un disagio.

Quante volte capita infatti che inconsciamente si ricerchi una posizione che permetta di recuperare una circolazione adeguata? E se quella posizione non funziona, ben presto arrivano “le formiche”, la sensazione di intorpidimento che tutti ben conosciamo.

Però attenzione: è intorpidimento, disagio, non dolore. C’è differenza: il dolore immobilizza. Se provo dolore vero non riesco a muovermi. Il disagio è più o meno il contrario, spinge a muoversi.

Questo però non significa che non sia possibile trattarlo come dolore. In fin dei conti si tratta sempre di qualcosa da interrompere: è necessario intervenire sull’input di minaccia è placarlo, imbavagliarlo, distrarlo, insomma…spegnerlo in qualche modo.

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LE PARTICOLARITÁ DELLO STATO TENSIVO

Se parliamo di dolenzia fisica, il dolore ha sostanzialmente due tipologie di manifestazione: acuto e cronico.

Un dolore acuto è sempre legato ad una causa scatenante: “Fa male quando lo faccio”.

Un dolore cronico è molto più sleale e complesso: può avere mille variabili. Può anche essere scarsamente relativo alla meccanica del movimento e sia legato ad altro, più genericamente ad una sensibilizzazione centrale o periferica.

La sensazione di tensione ed oppressione a livello muscolare è inquadrabile allo stesso modo.

Nei casi più semplici, come abbiamo notato, la causa è piuttosto ovvia: una postura o uno schema motorio mantenuto per troppo tempo.

In questo caso un pò di riposo o anche un semplice cambiamento di posizione riduce l’ischemia momentanea o lo stress metabolico che sta influenzando la nocicezione nell’area interessata.

Esempio classico: l’impiegato che rimane per ore al computer o l’agente che passa metà della giornata in auto. Ad un certo punto questi soggetti devono “spezzare lo schema” ed allungarsi o muoversi.

Se invece parliamo di tensione cronica ci riferiamo a qualcosa che fa un pò quel che gli pare: va e viene a suo piacimento ed è molto meno correlata alla postura e al movimento.

In questi casi il movente si nasconde dietro al sistema nervoso e a tutte la serie di possibili cause che hanno provocato una sensibilità: dall’infiammazione locale fino addirittura a ragioni psicologiche.

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COME SI RIDUCE LA SENSIBILITÁ

Fosse facile affrontare queste situazioni…Una soluzione generica ed esaustiva per tutti non esiste.

Fortunatamente esistono invece i fisioterapisti: professionisti che lavorano e studiano per sopportare gli sportivi, i loro mali e fornire consigli specifici e soggettivi. Quindi chiariamo una cosa che dovrebbe essere implicita: che non si pensi di risolvere un problema fisico leggendo un post su un blog. Le risoluzioni di questi problemi passano attraverso la competenza e la costruzione di una soluzione specifica. E non è certo un post che ve la può dare, un professionista sì.

Ciò che possiamo fare in questa sede è capire quali possono essere i modi e i metodi che abbiamo a disposizione per affrontare una tensione, insieme ad alcuni pensieri strategici. Ma da qui alla loro applicazione in base al caso ci passa…un professionista competente.

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STRETCHING

É il nostro istinto che ci porta ad allungare i muscoli che sono rimasti per un pò in posizione accorciata, non servono studi particolari o altro, è la natura.

I problemi arrivano, come detto, nel momento in cui affrontiamo una sensazione di rigidità cronica in alcune zone e il classico allungamento (o stretching) sortisce meno effetto del voluto.

In questo caso diventa necessario chiarire la radice del problema. Perchè se la radice è meccanica (muscoli realmente accorciati) allora insistere con un allungamento più curato e mirato potrebbe avere senso, ma se è la sensibilità nervosa la cagione del disagio, lo stretching potrebbe addirittura peggiorare le cose.

Lo stretching ha però anche una valenza emotiva: può essere usato per ricercare serenità psico-fisica. Quindi, se il problema ha risvolti psicologici, perchè no.

Come consiglio nel mio libro: fatelo se, in generale, vi fa stare meglio.

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FOAM ROLLING

Il foam rolling è la punta dell’iceberg dedicato alla mobilizzazione dei tessuti molli, cioè a tutte quelle tecniche che come oggetto sociale hanno la manipolazione delle restrizioni fasciali e delle fibrosi dei tessuti (massaggi manuali, IASTM – Instrument Assisted Soft Tissue Mobilization, Tecnica Graston – con uso di strumenti in acciaio), etc.

A differenza delle altre che ho elencato, il FR è una tecnica che rimane applicabile da chiunque con poco sforzo monetario e cerebrale: non ci vuole un genio del massaggio per capire come passarsi un rullo sui muscoli, non è necessario imparare una tecnica particolarmente complicata.

Ciò che sommariamente fa il rullo è attirare l’attenzione del cervello su una determinata zona: segnali nocicettivi. Il cervello riceve questi segnali e risponde inviando avvisi nervosi (sottoforma di neurotrasmettitori) lungo le terminazioni interessate che tendono ad alleviare momentaneamente la sensazione tensiva (per lo più sono oppioidi endogeni) e, così facendo, favorire un migliore movimento.

Ecco perchè il foam rolling preso da solo non produce nulla di duraturo ma deve servire per ottenere il massimo rendimento da qualcos’altro. Il sollievo dal dolore e il miglioramento del movimento aprono una finestra di opportunità da sfruttare con l’allenamento, per esempio. Questo sì, potrebbe avere un vantaggio permanente.

É ovvio che se ti passi il rullo e poi ti siedi alla scrivania per due ore oppure ti sdrai sul divano non sfrutti e non formalizzi nulla. Sarebbe come prepararsi una cenetta succulenta e poi non consumarla.

Il Foam rolling, insomma, è un’altra opzione da giocarsi, ma non certo un obbligo o una necessità assoluta.

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YOGA, PILATES, GINNASTICA POSTURALE, ETC

“Da quando faccio Pilates (o Yoga, etc) ho smesso di avere problemi”.

Ecco uno dei discorsi più ripetuti dal runner o dal triatleta amatore medio proveniente da una vita atletica costellata di tensioni muscolari ricorrenti.

Spesso Gino, chiamiamolo così, non sa che il solo stretching, se usato opportunamente, sarebbe stato altrettanto utile. Non lo sa perchè non lo hai mai provato, se non mimando qualche posa post-gara, momento fra l’altro peggiore in assoluto per lo stretching, seguendo il consiglio dell’amico pseudo-informato.

In questo caso, comunque, lo Yoga o il Pilates stanno a Gino come il cacio ai maccheroni. Mobilità ed uso della forza insieme: il corpo di Gino stapperà uno champagne e ritroverà un controllo motorio più efficiente, eliminando la tensione e ricavando un rilassamento che manco a 20 anni. Si fa per dire naturalmente.

S’è capito che conviene provare? Quando la tensione sembra correlata a determinate posture o movimenti queste discipline che favoriscono il controllo motorio aiutano eccome! Ovviamente, dove la situazione è più complessa, non ci si dovrebbe aspettare che il controllo motorio risolva il problema da solo.

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ALLENAMENTO DELLA FORZA

Eccoci al dunque.

L’allenamento della forza, se correttamente eseguito ed adeguato soggettivamente può:

  • aumentare la flessibilità, forse più dello stretching da solo
  • creare adattamenti locali che migliorano la resistenza al distress metabolico
  • migliorare ogni aspetto legato al dolore a causa del suo effetto analgesico
  • abbassare i livelli di infiammazione che causano sensibilità del sistema nervoso

Un aneddoto personale.

Ho avuto un periodo piuttosto lungo della mia vita atletica in cui spesso provavo fastidi al polpaccio destro. Ho sempre saputo che quel distretto era più debole perchè ogni singolo test me lo sbatteva in faccia. Tuttavia ho sempre preferito allungare quella parte piuttosto che rinforzarla direttamente, poichè le mie epoche competitive erano finite da eoni.

In fine la situazione peggiorò e siccome posso essere pigro ma non sono scemo, optai per il rinforzo diretto. In due settimane la musica cambiò. E, da allora, con poco ho sempre ottenuto il massimo, cioè mai più fastidi, nè tensioni di nessun genere e una capacità funzionale ottimale.

Capiamoci: allenare la forza significa anche RISPETTARE i muscoli. Cioè allenarli adeguatamente e dargli il giusto recupero. Diversamente si andrà incontro ad un pessimo LATO B di questa opzione: sensibilità accentuata, muscoli rigidi e doloranti.

Quindi no allenamenti a caso ma sempre e solo adeguati al proprio stato.

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Le tensioni muscolari possono avere varie interpretazioni.

Spesso possono essere solo sensazioni e non avere necessariamente rispondenza in una condizione meccanica reale. In questi casi si parla di sensibilità in una determinata zona: sostanzialmente un problema di derivazione nervosa.

Questa sensibilità diminuirà migliorando la forma fisica, il controllo motorio, la forza e la consapevolezza di ciò che si fa. Questo ultimo aspetto spesso è il più trascurato: alla consapevolezza corrisponde anche più sicurezza, con un giovamento anche dell’aspetto psicologico.

Alla prox.

D.

Un riferimento scientifico interessante in merito:

Stanton, Moseley et al. “Feeling stifness in the back: a protective perceptual inference in chronic back pain” – 2017, Nature – Scientific Reports

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