ALLENARE LA RESILIENZA (o REATTIVITÁ MENTALE)

Come tutti sappiamo, allenamenti e gare sono un fitto intreccio di eventi simultanei che si vengono a sommare e che, nella maggior parte dei casi, è impossibile predire e definire con certezza.

Esempio stupidissimo: pensate al runner o al triatleta che esce di casa per un lungo, il sole è alto nel cielo, tuttavia dopo qualche km si ritrova nel bel mezzo di un acquazzone.

A quel punto gli si presentano diverse opzioni:

continuare a correre infischiandosene della pioggia, tornare subito indietro e troncare la seduta, ripararsi e aspettare che la pioggia cali, fermarsi in un bar per farsi venire a prendere da un amico o un familiare, e così via.

RESILIENZA

In questi casi entra in gioco la sua REATTIVITÀ MENTALE o, come spesso viene definita, RESILIENZA: ovvero la possibilità di usare una reazione positivo/costruttiva ad eventi potenzialmente negativi. In questa sede ne vedremo la potenziale applicazione in contesti di allenamento e gara.

Lo sportivo, infatti, è spessissimo di fronte a questo tipo di scelte.

E forse in troppi sottovalutano la reale importanza dell’allenamento di questa capacità, a volte, pagando un caro prezzo.

Quante volte abbiamo sentito dire (o abbiamo detto) durante una competizione o un esercizio (o sul lavoro!): “Oggi non è giornata, mi va male tutto, non vedo l’ora che finisca”.

Questi pensieri e l’atteggiamento successivo hanno grande impatto sull’esito e sulla definizione stessa dell’evento o della situazione in cui ci si trova. Se potrà andar peggio, state sicuri che così andrà!

QUESTIONE DI REAZIONE

Prendiamo una gara importante:

spessissimo non sono gli errori di valutazione o la classica sfortuna a determinare dei crolli atletici, bensì LA REAZIONE dell’atleta a questi fattori.

Essere positivi o negativi di fronte a certi eventi predispone ad atteggiamenti opposti. E il risultato di una determinata performance può spesso legarsi alla risposta data a questi stessi eventi.

Ad alto livello nulla è lasciato al caso: anche la tattica stessa di gara deve tener conto delle varie possibilità negative che si possono presentare e saperle fronteggiare diventa fondamentale.

DUE TIPI DI PROBLEMI

Come dico a chi alleno, esistono due tipi di problemi che ti possono capitare:

  • quelli che puoi risolvere
  • quelli che non puoi risolvere

In ogni caso la prima reazione deve essere lucida. Se entra subito in campo l’ansia avremo un problema in più da gestire.

Tutti i problemi sono direttamente legati alla freddezza nel rispondere ad essi.

  • I problemi che possono essere risolti hanno una tipologia di risoluzione pratica che è legata al problema stesso.

Prendiamo un ciclista che fora.

Più freddezza in quel caso significa meno tempo speso per sistemare la foratura e più tempo a disposizione per recuperare in gara.

La testa deve lucidamente concentrarsi sui movimenti corretti da fare per risolvere il problema, senza distrazioni.

  • Diversamente, se incontrassi un inconveniente irrisolvibile, tipo un piccolo infortunio o un evento comunque invalidante per il proseguio della gara, concentrarmi su di esso, come invece nel precedente caso, non servirebbe a nulla.

Dovrò più che altro limitare le emozioni legate al problema, dando spazio il più possibile alla razionalità. Non facile, certo. Ma di certo vantaggioso.

Rabbia, ansia, paura, potrebbero portare a decisioni prese sulla scia dell’emotività e produrre risultati ancora più negativi.

ALLENARE LA MENTE AL “SE…ALLORA”

Ma…è possibile allenare la mente ad essere pronta a queste tipologie di complicazioni?

Certamente.

Basta lavorare sulle STRATEGIE DI REAZIONE.

Si tratta sommariamente di prepararsi dei piani di azione basati sul “SE…ALLORA”.

Prendiamo una gara e vediamo un pò di ipotesi.

Se incontro un ingorgo la mattina ed arrivo in ritardo per la partenza…allora utilizzerò la mia routine di riscaldamento abbreviata e sarò comunque in grado di partire “caldo”. Mi preoccuperò di averne una!

Se il ritardo dovesse essere troppo? Allora sfrutterò i primi km di gara per scaldarmi al meglio e trasformerò la gara stessa in un allenamento intenso in progressione. Mi servirà comunque.

Se piove? Allora potrei impostare una strategia di gara più aggressiva, la pioggia non è mai stata un problema per me, magari lo è per i miei avversari! Di certo mi basterà bere di meno in gara e questo è certamente un aspetto positivo.

Se c’è vento? Allora mi basterà adeguare leggermente l’andatura prevista e cercare di stare il più possibile coperto in gruppo per risparmiare energie. L’attacco migliore potrei impostarlo a fine gara.

E così via.

Si reagisce ad un evento con una gamma di opzioni possibili.

Questo significa ragionare in anticipo su tutte le eventualità che potrebbero presentarsi e rispondere ad ognuna di esse in maniera preventiva.

In questo modo si elimina completamente l’ansia e l’insieme dei turbamenti emotivi che derivano dal dover scegliere l’opzione migliore in quel preciso momento.

“Sono già preparato per questo. So cosa fare”.

E’ un modo diretto e lineare per diventare più autoefficaci.

Cosa significa? Per saperlo leggete questo interessante articolo dell’amico psicologo dello sport Cesare Picco su Runningpitt.

L’ESEMPIO DEI DUE MARATONETI

Ultimamente ho seguito un paio di atleti in maratona. Entrambi avevano lo stesso obiettivo: abbattere il muro delle 3 ore. Uno lo avevo preparato personalmente, all’altro avevo semplicemente dato qualche saltuario consiglio e ho avuto piacere di stargli vicino per pura amicizia.

Mi sono trovato di fronte a due situazioni completamente diverse.

Chi avevo preparato era pronto per ciò che lo aspettava. Era partito molto umile ed aveva mentalmente focalizzato che avrebbe lottato con la fatica perchè già dagli allenamenti che gli avevo predisposto aveva compreso come rapportarcisi. Inoltre avevamo studiato una tattica costruita sul suo grado di preparazione, coprendoci da ogni eventuale possibile intralcio: dalla possibile disidratazione, ai rifornimenti in gara, etc.

Risultato: maratona durissima, caldo imprevisto, ma muro abbattuto.

Nell’altro, seppur maratoneta navigato, ho invece notato tanta inesperienza e poca conoscenza di sè stesso. Partito con velleità molto più ampie, anche trovando meteo e temperatura ideali quel giorno, s’è infranto sulla cattiva gestione dei propri allenamenti.

Quando la fatica è sopraggiunta non c’è stata la risposta necessaria ad abbatterla. Questo perchè la preparazione è stata gestita esattamente come tutte le altre volte in cui aveva fallito. Ed anche una tattica più oculata quel giorno non l’ha salvato, ma l’ha solo fatto cedere più lentamente.

Non era pronto. La difficoltà emotiva legata al sopraggiungere della fatica si è sommata a quella fisica. La mia vicinanza, purtroppo, lo ha aiutato solo in parte.

Per questo, e qui chiudo, lasciare al caso l’andamento della propria performance non porta mai conseguenze positive. A meno che, naturalmente, non si provi un fascino particolare legato agli imprevisti e se ne accettino, però, le conseguenze a cuor leggero.

In generale, allenare la resilienza nello sport non significa soltanto resistere imperterriti alle difficoltà, qualsiasi esse siano, ma pianificare e studiare le dovute strategie di reazione agli imprevisti: provarle, focalizzarle, testare la convivenza con l’affaticamento in allenamento, usando il miglior metodo personale (self talk, mindfulness – vedi note a fine post), per aiutarla. Questo training, col tempo, porterà ad un atteggiamento più razionale intelligente e soprattutto, permettetemi: VINCENTE.

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NOTE:

Non ho approfondito volontariamente il discorso sulle tecniche mentali usate per la convivenza con la fatica perchè confido fortemente nella capacità di ogni atleta di trovare la propria risposta in certi momenti, senza particolari aiuti esterni. L’approccio diretto provoca istintivamente una reazione legata alle proprie caratteristiche emotive. É l’esperienza stessa che fa maturare e fissa la strategia personale migliore. Ritengo che la risposta, perchè sia valida e utile, debba venire da se e non da fuori.

Negli anni ho potuto vedere in generale due tipi di risposte principali:

  • lo/a sportivo/a meno esperto tende a concentrarsi su eventi esterni rispetto a ciò che sta a lui/lei accadendo (il pubblico, il paesaggio, etc). Guardare al di fuori di se permette di distogliere l’attenzione nei confronti della fatica, fuggire da essa.
  • il tempo porta invece gli stessi atleti a consapevolizzare i propri disagi e l’attenzione gradatamente viene posta da fuori verso ciò che sta accadendo dentro di se, senza farsi coinvolgere da pensieri erranti. Questo è un esempio di mindfulness istintiva. Ascoltarsi, concentrarsi sul proprio respiro o sulla propria cadenza, focalizzare la mente su cosa razionalmente è utile fare: sono tutti piccoli passi verso una resistenza utile e attiva nei confronti della fatica. Il Self Talking (letteralmente “il parlare con noi stessi”) è un’altra tipologia di risposta istintiva che, bene o male, un pò tutti usiamo nella vita. Il parlarci interiormente, dandoci consigli, spronandoci ad andare avanti. É un linguaggio mentale silenzioso e personale che usiamo per dialogare con noi stessi.

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